Sono arrivato sul set di “Finché c’è guerra c’è speranza”con un biglietto di presentazione di una signora, antica amica di Alberto Sordi e proprietaria del più importante ristorante di Sao Paulo. L’avevo incontrata poiché mi era stata indicata come la “Mamma di Alberto”. Quando la signora Rosa lo aveva appreso si era molto divertita e lo aveva scritto su quel biglietto per “Albertone”. Sordi mi accolse immediatamente con familiarità e simpatia tanto che un responsabile della produzione, da dietro le spalle di Sordi, visto il fermo di tutta l’attività per la nostra lunga conversazione, mi segnalava di “tagliare”. Ma non era facile dire stop all’attore principale, regista, sceneggiatore e produttore del film! Per molti giorni mi sono potuto muovere liberamente sul set, parlare con tutti, fotografare tutto e tutti, soprattutto un Alberto Sordi mattatore, sia nei momenti di lavoro, in cui dimostrava una professionalità unica, sia nei momenti di pausa in cui giocava coi ragazzini e corteggiava le belle signore del film e fuori del film. Quando ci siamo salutati, abbracciandomi, alla romana mi ha detto “A Robbè, ecché, ce vedemo!”
Alberto Sordi ha realizzato cinema ponendo sempre grande attenzione al sociale attraverso i molti personaggi dei suoi film. Un argomento tanto importante quanto sottovalutato dalla critica cinematografica che ha visto l’attore regista solo come comico senza leggere i sottocodici della sua comunicazione cinematografica. Forse lo sguardo “lontano” che Alberto Sordi aveva in molti dei ritratti che gli ho fatto è una testimonianza di come fosse lontana la comprensione dei suoi lavori da parte di quelli per cui lui li faceva. Mantenere viva la memoria di questo grande artista consente di far “rileggere” i suoi lavori, inserendoli nel loro contesto storico e comparandoli con avvenimenti odierni di cui sono stati portatori di “denunce a futura memoria”. Ho incontrato molti premi Oscar che non si spiegano dell’incapacità del cinema italiano di valutare un così grande personaggio, noto all’estero per i molti film realizzati nei vari paesi con grandi personaggi del cinema internazionale. Riportare il sofisticato lavoro culturale, abilmente nascosto da Alberto dietro la “Maschera Sordi”, è importante per la cultura italiana, per la cultura del cinema, per gli spettatori internazionali che hanno perso i suoi lavori o, li hanno visti molto tempo addietro e che, con una rilettura possono comprenderne oggi il vero valore.
A fare impressione la lucidità operativa di Alberto Sordi nei momenti diversi delle sue differenti funzioni. Nelle vesti di produttore parlava sia con chi si occupava della logistica sia con gli addetti stampa. Nella funzione di regista metteva a punto con gli assistenti i tempi e i luoghi dei ciak. Saliva sul dolly per verificare le inquadrature delle riprese e subito dopo passava ai ritocchi del trucco e quindi alla recita della sua parte. Tutto senza mai, ma proprio mai, rileggere il copione. Fuori dal set Albertone era simpatico, disponibile con tutti, senza confusione dei ruoli, tutti in amicizia ma con il dovuto rispetto. C’è una foto in cui lui,seduto con i collaboratori in attesa della messa a punto del set, parla con me sul tema del suo cinema. Mi ascoltò con la sua attenzione vera, non di cortesia, di maniera. Poi, con autentico stupore ma girando la cosa sulla battuta, mi disse “A Robbè e nun me dirai che ne capisci di cinema!” Diverse immagini, fuori set, non solo ritraggono Alberto Sordi ma presentano indubbiamente la sua personalità come quando corteggiava Silvia Monti oppure quando, prendendo sottobraccio una villeggiante mi disse “A Robbè e mi vorai fotografare con questa bella signora, no!“.
“E’ bene tacere di ciò di cui non si sa!”
Ludwig Wittgenstein
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