ROBERTO VILLA ART

Copertine dischi

Hai collaborato alla realizzazione di decine di dischi ma guardando i titoli spicca da subito la forte presenza di musica jazz tra le tue produzioni. Si tratta di una coincidenza o di una scelta dovuta al tuo gusto personale?

La scelta del Jazz è determinata da una serie di fattori facilmente identificabili. Innanzitutto un gruppo Jazz piccolo / medio può essere costituito da due a dodici musicisti, poi la registrazione può essere fatta dal vivo o nel mio studio fotografico.  Il numero dei microfoni che posizionavamo, con l’aiuto di mia moglie Rosalba e mio fratello Umberto, anche lui tecnico elettronico, erano mediamente sopra ai 20/25 collegati ad un mixer che rinviava il tutto ad un registratore professionale da 8 tracce. Cose possibili sia in esterni sia in interni che sarebbero state impossibili con orchestre di musica sinfonica od operistica. In quel caso i mezzi impiegati avrebbero dovuto essere ciclopici, come quelli della Rai. La conoscenza della musica barocca e da camera, come amatore non come esecutore, non era sufficiente per accedere ad un contesto completamente diverso e complesso per la sua gestione, non per le complessità tecniche di registrazione che, di converso apparivano più semplici. La personale amicizia con i più grandi musicisti di Jazz di allora mi ha facilitato la strada, congiuntamente al loro interesse per la raffinatezza delle soluzioni tecnologiche impiegate che era tale che i nostri LP venivano spesso usati dalle riviste di Audio per i test di impianti ad alta fedeltà.

Fotografia e musica sono due forme espressive molto differenti .Una è fatta di sole immagini, l'altra di soli suoni. Cosa spinge un fotografo a buttarsi nel mondo musicale?

Ambedue i settori propongono elementi in cui la creatività è prevalente, non dimenticando che, ancorché Arte, sempre di comunicazione si tratta. In un’immagine così come in un brano musicale, gli amanti e conoscitori dei diversi processi linguistici identificano le strutture, le morfologie ed i valori significanti. Come estimatore ho potuto operare in quello che, successivamente, Pasolini ha identificato in una unione di suono ed immagini e che ha definito “audiovisivo”.

L’interesse per la musica tutta, dall’operistica alle avanguardie, dalla musica etnica al Jazz, parte da lontano nel 1945. Mio nonno mi aveva portato al cinema a vedere “Rigoletto” mentre durante la guerra ascoltavo i dischi 78 giri di “Jazz” per piano di Charlie Kunz. Il mio approccio è sempre stato semiologico sia che ne parlassi con Milva sia con il grande tenore Mario del Monaco, cosi come con Lino Patruno o con Francesco Anile. Sicuramente i miei studi di ingegneria elettronica mi hanno facilitato, anche nel comporre musica d’avanguardia come quella di “Sono apparso alla Madonna” per Carmelo Bene o quella per il film “Omega” per lo studio di Monte Olimpino.

Qual è il disco al quale ti senti più legato e perché?

1978 –  L.P. Jazz Concert “At Live” – Lino Patruno Band – Edizioni MMR (Master Music Recording). È stato il primo LP interamente realizzato dal mio studio con una ripresa in esterni a Basiglio, in diretta, con un risultato eccellente sia da parte delle prestazioni dei musicisti sia per la qualità tecnica dei risultati. Abbiamo fatto tutto, proprio tutto, dalla registrazione alle foto di copertina, dai ai testi alla grafica, e come se non bastasse ci siamo occupati anche del reperimento dello sponsor del settore dell’Hi-Fi. I manager della famosa Aiwa, ascoltato il lavoro, ne hanno comperato tutta la produzione coprendo le spese.

Qual è stato il momento più divertente nel tuo studio di registrazione?

La cosa più complessa nei dischi, gli “LP” i Long Play, i microsolco di allora, era far stare i suoni più deboli senza fruscii e i suoni al livello più alto senza distorsione. Per raggiungere questo risultato, già da prima del 1970, usavamo dei sistemi di compressione e riespansione del suono che, a qualsiasi livello del volume in riproduzione, non facevano sentire quanto di fastidioso nei dischi LP normalmente si percepiva. Un giorno venne in studio come ospite il grande Oscar Klein, trombettista austriaco che aveva lavorato nei grandi studi internazionali, molto differenti da uno studio fotografico “arrangiato” per la bisogna. Trovò tutto negativamente molto diverso e, senza nascondere la sua delusione, con un Lino Patruno divertito, pur non convinto suonò perfettamente. Dopo la registrazione volle subito ascoltare il brano e, mentre il nastro vuoto scorreva, mi sollecitò più volte ad alzare il volume dell’impianto, cosa che feci senza la sua soddisfazione. Allora si rivolse a Lino dicendo: “Negli altri studi io faccio il livello ascoltando il fruscio del nastro” non aveva finito la frase che la potenza di 800 watt RMS su due grandi casse acustiche, gli esplosero nelle orecchie facendolo veramente e fisicamente saltare dalla sorpresa. Rifeci il livello corretto e tutta la band ascoltò continuando a registrare tutto. Oscar suonò complimentandosi poi per la qualità “unica” che “aveva sentito per la prima volta”. Abbiamo lavorato molte, molte volte insieme prima della sua scomparsa.

ROBERTO VILLA ART

“E’ bene tacere di ciò di cui non si sa!”

Ludwig Wittgenstein

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