Sicuramente la campagna di advertising più complessa è stata quella per la famosa Gomma del Ponte della Perfetti . Era il 1975 e l’incarico ci impegnava nella realizzazione dello still life delle confezioni, del ritratto della modella, delle riprese in elicottero dall’alto del Ponte di Brooklyn a New York e dell’immagine finale della campagna. La prima parte fu eseguita in studio a Milano dopodiché due fotografi, mio fratello Claudio e Maria Luisa Trebian, partirono per New York. Lì, in attesa del sole, del cielo azzurro e del mare azzurro necessari per la foto cominciò la ricerca della modella che, naturalmente, doveva rispondere ai canoni del target previsto per il prodotto “Chewing Gum”. Trovato il “viso giusto” il team di due fotografi, fotomodella ed una assistente del posto, si recò nei luoghi amati da Woody Allen, a Brooklyn, per realizzare una serie di immagini da inviare a tutte le testate con il racconto della “campagna della “Gomma del Ponte”.
Intanto la costosa permanenza a NY, in attesa di condizioni meteo meno grigie, preoccupava Perfetti. Un giorno mi telefonò chiedendomi “Ma lei non è andato a New York?” “Mi sono fatto Uno e Trino – gli risposi – e due sono la”. Tra le immagini realizzate dall’elicottero con diverse ottiche, fu scelta quella “sferica” realizzata con il “Fish-eye” e, in questa, andavano inserite il ritratto della ragazza e lo still-life del prodotto. Nel 1975 non esistevano software di manipolazione dell’immagine per cui, in studio, con cavalletto e soffietto per la duplicazione delle immagini, con un sapiente uso di mascherature delle parti appropriate, riuscimmo a sovrapporre il volto sullo sfondo di New York con il ponte in primo piano. Lo still life, invece, è stato inserito dal fotolitista.
Dal 1970 collaboravo ai periodici della Casa Editrice Rusconi, qualche anno dopo il Presidente – Padrone Edilio Rusconi mi fece convocare nel suo ufficio di via Vitruvio a Milano, e venendomi incontro con la mano tesa per la stretta di saluto mi disse “Mi dicono che lei è il più bravo fotografo che ci sia per il ritratto. Venga con me, la presento ad un nuovo direttore che lei mi dovrà fotografare”. Era Silvana Giacobini, che aveva assunto l’incarico di “Eva Express“. Nel 1975 la scena si replicò ma quella volta Rusconi mi disse: “Le affido l’immagine di tutte le mie testate”. Così ci occupammo di tutte le scelte collegate: casting, abiti, accessori, location, permessi. Tutto, proprio tutto.
Quando le agenzie mi sceglievano sapevano che potevano contare su un esperto della comunicazione. Questo piaceva all’account del cliente, meno agli art director che si sentivano giudicati per cui mi lasciavano libero di modificare il progetto base garantendosi risultati certi e minori responsabilità.
L’oggettivazione della realizzazione, il mio apporto assoluto e che era dipendente dalle esigenze del marketing e scevro da gusti personali. Quello era il mio “must”. Ricordo un art director che mi disse: “Preferisco un fondo di un colore più chiaro e verde”. “Le scelte di gusto le faccio per casa mia – gli risposi – qui no, questa è comunicazione che deve far vendere, se la tua scelta non ottiene questo risultato vai tu a spiegare alla direzione vendite?” Passò la mia scelta.
Nel 1982 per Siemens realizzammo la campagna di una apparecchiatura radio ed amplificatore con sistema di altoparlanti per l’alta fedeltà in auto, il brand era Fisher. L’incarico ci era arrivato da un alto dirigente di Siemens scavalcando il direttore marketing di Fisher che non aveva gradito e, per metterci in difficoltà ci aveva convocato in concomitanza con la loro abituale agenzia (scorrettezza inaccettabile). Ero stato avvertito della circostanza e, invece di giacca e cravatta come di consueto in questi casi, mi presentai con jeans e camicia cachi tipo militare acquistata in Brasile, proprio come un “fotografo”, non come un’agenzia. Eroaccompagnato dal mio assistente, giovane, ricciolino beat, con pseudo gilet e camicia, Giorgio Zappalà (Giorgino) un diciottenne che dimostrava cinque anni meno.
L’agenzia ufficiale, convocata intenzionalmente prima, era già presente con tutto lo staff di sei persone, munito di grandi cartelle di 60x40cm, porta disegni, ed un numero di capienti borse cariche di documenti e, durante i convenevoli, ci salutarono con l’aria di chi scende da una Rolls Royce e guarda la Panda li vicino. Noi avevamo una semplice borsa di pelle nera che non superava i 25x 35cm. Per oltre un’ora lo staff, non senza sorrisi e battutine, presentò schizzi e grafici, ipotesi realizzative e previsioni. Chiusa la presentazione il direttore marketing, sorridente in modo quasi amichevole, si rivolse a noi accompagnato dalla rotazione delle sei teste dello staff e, dalla nostra piccola borsa, estraemmo il dépliant perfettamente eseguito che rappresentava tutti gli elementi della campagna con i prodotti fotografati, su fondo scuro, i testi in negativo e che avevamo realizzato con le Polaroid 8×10″ di cui sono stato il primo italiano a comperare il sistema nel 1978. Abbiamo acquisito l’incarico da Siemens – Fisher.
La Società Ciccarelli (Pasta del Capitano etc), seguita dall’agenzia Idea2, doveva lanciare le proprie creme per il corpo e mi commissionò un nudo di donna coricato su un fianco consegnandomi un raf nel quale, per isolare il corpo bianco dal bianco del fondo, i grafici avevano riempito il fondo con un tratteggio nero. Realizzai la stessa immagine per due volte, identica, una con fondo nero e l’altra con fondo bianco. La foto su fondo nero corrispondeva alle loro indicazioni ma non alle esigenze del cliente. Accertatomi della loro soddisfazione col fondo nero, Feci comunque vedere la seconda esecuzione motivandola con le esigenze di miglior rappresentazione del concetto di luminosità della pelle, tema del prodotto, e con l’assenza della drammaticità costituita dall’incombente nero che avrebbe pervaso tutta la campagna destinata a tutte le testate italiane e no per alcuni anni.
Passò la mia proposta accettata dai tre soci e dall’intero staff.
Nel 1978 ci chiamò il responsabile marketing di un’agenzia chiedendo “Chi è l’architetto che vi cura gli arredamenti per i paginoni di Playboy?”. Quell’architetto eravamo noi.
Stupiti ci invitarono per verificare cosa potevamo fare con loro e come eventualmente procedere per una campagna con mobili d’arredamento. Ottenemmo così l’incarico che, differentemente dai servizi per Playboy, non poteva essere fatto in studio perchè necessitava della ricostruzione di interi ambienti arredati con molti mobili e non poco ingombranti. Noleggiammo dei grandi spazi, gelidi capannoni (era inverno), in quella che si chiamava la “Cinecittà di Milano”, a Cologno Monzese. Lavorammo non solo fotograficamente, ma come architetti d’interni poiché, anche in quel caso gli architetti titolari ci avevano detto “Fate voi che siete esperti” cosicché alle sei di sera se ne erano andati, “per rientrare” dicendoci, buon lavoro! Intorno alle dieci di sera Giorgino, un elettricista ed io manifestammo una certa necessità di ricariche alimentari e mia moglie Rosalba che poteva guidare l’auto, uscì nella neve per cercare un posto dove fare rifornimento di tramezzini e Coca Cola. Finimmo il lavoro poco dopo l’una di notte e rientrammo a Milano.
Grazie alla nostra abilità nel disporre le luci, e a quella di Rosalba di acconciare divani con cuscini ed accessori, nonché letti con porta vivande e posate, le foto appaiono come riprese in una giornata di pieno sole. Di fatto per far apparire le foto in ambienti più veritieri, avevamo fatto sgusciare la luce delle lampade dalle finestre creando la finta luce solare. Incontrando l’art director dell’agenzia, per la visione delle immagini, tutte in grande formato 18x24cm accennammo al fatto di essere rimasti sul set fin quasi alle due di notte, mentre fuori c’erano nebbia e neve. Lui soddisfatto apprezzò il lavoro e concluse: “Però siete stati fortunati, avete trovato una bella giornata di sole”.
“E’ bene tacere di ciò di cui non si sa!”
Ludwig Wittgenstein
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